TREMATE, TREMATE,
LE  JANARE
SON TORNATE…

...Almeno nell'immaginario di una parte della comunità di Amorosi, che, se sollecitata a parlare dell'argomento, ostenta senso di timore e rievoca strani epidosi avvenuti non molti anni fa in paese.

Ecco la prima "Janara story", cioè la testimonianza diretta di un cittadino di Amorosi:

"Sono trascorsi molti anni dall'epoca in cui accaddero gli avvenimenti che narrerò e molte persone a conoscenza dei fatti non ci sono più e ciò mi toglie gran parte dello scrupolo che ha finora sostenuto la mia reticenza.
Sono figlio di contadini e sono sempre vissuto nella masseria paterna fino all'epoca della Scuola Media, che bisognava frequentare a Cerreto Sannita, presso un istituto Religioso.
Durante tutta la mia infanzia, nelle lunghe e fredde serate d'inverno, vicino al focolare si raccoglieva la mia famiglia al completo e, molto spesso, erano presenti altri parenti e amici di mio padre. Mentre mio padre scaldava qualche patata sotto la cenere, cosa che eseguiva con la precisione e la solennità di un rito, i presenti si scambiavano opinioni sugli avvenimenti del paese o si davano consigli e pareri sul lavoro dei campi, che sarebbe cominciato di lì a qualche mese. Mia madre sonnecchiava seduta vicino alla tavola, tenendo sulle ginocchia la testolina di mia sorella, accoccolata su uno sgabellino di legno fatto dal nonno. Così erano le serate d'inverno nella masseria: quattro chiacchiere tra amici e qualche bicchiere di vino per tenere allegra la compagnia. A volte dicevano qualche "cunto" (racconto) per noi più piccoli, ma altre volte parlavano di cose importanti, abbassando un po' la voce e assumendo con gli occhi e col volto un'aria grave, come sanno fare i contadini delle nostre parti quando i problemi si fanno seri.
Fu proprio in una sera come queste che sentii raccontare di quello che aveva fatto la janara ad un bambino della Via Madonna (così s'indicava all'epoca la Via Calore ad Amorosi). La strega si era seduta sul petto del bambino mentre questi dormiva, e, dopo avergli creato un grave affanno del respiro, lo aveva malmenato, lasciandogli lividure per tutto il corpo. Mentre il narratore, sotto voce, aggiungeva altri particolari del fatto, notai l'improvviso silenzio degli altri. Non capivo nemmeno bene tutte le cose che venivano dette ma mi stupiva constatare che quegli omoni, abituati a faticare nei campi con energie impensabili, ora se ne stessero timorosi e assorti in un silenzio carico di inquietudine. Smisero di parlare quando s'accorsero che io ero diventato troppo attento alle loro parole e, dopo un po' di tempo, tutti se ne andarono alle loro case.
Quella notte riuscii a prendere sonno solo quando mi potetti sistemare nel lettone grande in mezzo ai miei genitori. Nei giorni seguenti avevo già dimenticato ogni cosa, preso soltanto dall'euforia dei giochi, assieme ai miei cuginetti, venuti a passare nella masseria le vacanze di Natale.
Fu due giorni dopo Natale che accadde un fatto nuovo e misterioso. Già dal primo mattino avevo notato che mio padre e mia madre si recavano nella stalla con  un fare frenetico e, ogni volta, richiudendo accuratamente la porta. Non era loro abitudine e questa cosa mi incuriosì al punto da recarmi nella stalla, durante una loro assenza a metà mattinata. Non c'era nulla che mi apparisse strano o che, a mio parere, dovesse preoccupare i miei genitori. Stavo per uscirmene  quando il mio sguardo si posò sul cavallo: era stupefacente!
La criniera era tutta intrecciata, come le frange della coperta pesante che tenevo sul lettino. Anche la coda era arruffata, con i lunghi peli ridotti a treccine, precise  come quelle che faceva la nonnina alla mia sorellina, quand'era più piccola. Fui preso da un improvviso e inspiegabile terrore e corsi fuori senza neanche guardarmi indietro. A pranzo mio padre mi disse in maniera secca: "L'hai visto anche tu?". Lo guardai fingendo di non capire e lui: "La porta della stalla era aperta!".
Non potevo negare più niente: ero fuggito, in verità, senza richiudere la porta alle mie spalle. Dopo pranzo mio padre mi chiarì ogni cosa: era quello
il passatempo della janara. Per tutto il pomeriggio ci fu atmosfera cupa nella masseria e, prima di sera, mio padre disse semplicemente: "Stasera staremo nella stalla, sennò quella non ci darà più pace".

Clicca (con cautela…) sull'immagine della janara
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